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Tacito
De oratoria,20
 
originale
 
[20] Quis nunc feret oratorem de infirmitate valetudinis suae praefantem? Qualia sunt fere principia Corvini. Quis quinque in Verrem libros exspectabit? Quis de exceptione et formula perpetietur illa inmensa volumina, quae pro M. Tullio aut Aulo Caecina legimus? Praecurrit hoc tempore iudex dicentem et, nisi aut cursu argumentorum aut colore sententiarum aut nitore et cultu descriptionum invitatus et corruptus est, aversatur [dicentem]. Vulgus quoque adsistentium et adfluens et vagus auditor adsuevit iam exigere laetitiam et pulchritudinem orationis; nec magis perfert in iudiciis tristem et impexam antiquitatem quam si quis in scaena Roscii aut Turpionis Ambivii exprimere gestus velit. Iam vero iuvenes et in ipsa studiorum incude positi, qui profectus sui causa oratores sectantur, non solum audire, sed etiam referre domum aliquid inlustre et dignum memoria volunt; traduntque in vicem ac saepe in colonias ac provincias suas scribunt, sive sensus aliquis arguta et brevi sententia effulsit, sive locus exquisito et poetico cultu enituit. Exigitur enim iam ab oratore etiam poeticus decor, non Accii aut Pacuvii veterno inquinatus, sed ex Horatii et Virgilii et Lucani sacrario prolatus. Horum igitur auribus et iudiciis obtemperans nostrorum oratorum aetas pulchrior et ornatior extitit. Neque ideo minus efficaces sunt orationes nostrae, quia ad auris iudicantium cum voluptate perveniunt. Quid enim, si infirmiora horum temporum templa credas, quia non rudi caemento et informibus tegulis exstruuntur, sed marmore nitent et auro radiantur?
 
traduzione
 
20. ?Chi sopporterebbe, oggi, un oratore che esordisce parlando della sua malferma salute, come sono quasi tutti gli attacchi di Corvino? Chi avrebbe la pazienza di ascoltare cinque libri contro Verre? Chi, sulla formula impiegata dal pretore o sull'eccezione introdotta, sopporterebbe quelle interminabili tiritere che leggiamo in difesa di Marco Tullio o di Aulo Cecina? Al giorno d'oggi il giudice sopravanza l'oratore e, se non ? attratto e sedotto dall'incalzare degli argomenti, dalla brillantezza delle battute e dal nitore e dall'eleganza delle descrizioni, smette di seguirlo. Anche il pubblico in generale e gli ascoltatori casuali e occasionali si sono ormai abituati a esigere la presenza di grazie e di bellezza nel discorso, e non sopportano, in tribunale, i modi disadorni e grossolani di un tempo, pi? di quanto sopporterebbero un attore che, sulla scena, volesse riprodurre i gesti di un Roscio o di un Ambivio Turpione. Inoltre i giovani, che stanno forgiandosi negli studi e seguono gli oratori per trarne profitto, vogliono non solo ascoltare, ma anche riportare a casa qualche espressione significativa e degna di essere ricordata; se la ridicono tra loro e spesso ne scrivono nelle loro colonie o province, sia che un pensiero acquisti splendore per il modo arguto e conciso in cui ? strutturato o che un passo riluca di poetica eleganza. Perch?, ormai, si esigono dall'oratore anche ornamenti poetici, non intorbidati dal vecchiume di Accio e di Pacuvio, ma quali escono dal sacrario di Orazio, Virgilio e Lucano. ? per conformarsi, dunque, al gusto e al giudizio di questi ascoltatori che l'attuale scuola dei nostri oratori finisce per essere pi? bella e ricca di ornamenti. E non sono meno efficaci i nostri discorsi per il fatto che giungono alle orecchie dei giudici, producendo un'impressione piacevole. Non sarebbe, infatti, stravagante credere che i templi della nostra epoca abbiano minore solidit? perch? non sono costruiti con pietre rozzamente tagliate e con tegole grossolane, ma risplendono di marmi e rifulgono d'oro??
 

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